Un piccolo fiore intelligente

«Il Dotor Strauss dicie che doverei skrivvere quello che penso e riccordo e tutto quello che mi sucederà dora inavanti. Non so il perché ma lui dicie che importante perché così vederanno se potrò servire a cualcosa. Spero di sì perché Miss Kinnian dicie che forse riussiranno a farmi diventare inteligiente. Vollio esere inteligiente.»

 Non c’è nessun errore. Niente errori di grammatica, niente errori di battitura né di copiatura. Ciò che leggete in questa citazione proviene pari pari dal romanzo (questa volta sì, un romanzo) che è stato definito dalla critica «un capolavoro della letteratura di anticipazione».  

Abbiamo già parlato in precedenza di Daniel Keyes2, grande autore del Novecento e ottimo narratore di storie umane, ma fino a questo momento lo conoscevamo come scrittore di memoir3, mentre ora lo vediamo anche come romanziere. Il suo genio, in Fiori per Algernon (1959 come racconto), emerge sia dall’intreccio della storia, sia dal modo in cui essa è scritta, tanto da valergli il Premio Hugo nel 1960 e, dopo l’adattamento televisivo del 1961 e l’enorme successo, l’impulso ad ampliarlo e trasformarlo in un romanzo, che esce nel 1966 e vince il Premio Nebula4. 

Grande studioso di psicologia, Keyes trae ispirazione per questa storia da alcune esperienze di insegnamento a ragazzi con deficit cognitivi, strofina la lampada e ne tira fuori un delicato fiore della letteratura, perfetto in ogni sua parte, con un grande riflesso sul futuro che si prospetta a livello medico-psicologico tra la scienza e l’umanità, che fanno perfettamente il paio con gli esagrammi di questo numero: la Diminuzione (o Minorazione nelle vecchie versioni dell’I Ching) come esagramma principale, e il suo sviluppo, la Forza domatrice grande. 

Stati Uniti d’America. Algernon, citato nel titolo come protagonista della storia, non è un essere umano: è un topo da laboratorio bianco, utilizzato come prima cavia vivente per un esperimento sullo sviluppo dell’intelligenza. Charlie Gordon, il cui diario si legge tra le pagine del romanzo, è un trentaduenne con pesanti ritardi cognitivi, abbandonato dalla famiglia ai servizi sociali perché, dopo il raggiungimento della maggiore età, era diventato un peso. Charlie è l’altro protagonista della storia, alla pari con il piccolo roditore. A Charlie, che lavora come garzone delle pulizie in una panetteria dove il padrone gli permette di dormire e tutti i colleghi lo deridono mordacemente per il suo essere “stupido”, viene offerta dai medici un’occasione straordinaria e imperdibile: essere parte dell’esperimento come prima cavia umana e lasciarsi operare, per sbloccare quella parte del cervello che blocca il suo quoziente intellettivo a 70 e uniformarlo alla media. Charlie non può credere alle sue orecchie: lui vuole diventare intelligente, vuole essere come gli altri, ma è ancora dubbioso sul fatto di poterlo diventare facendosi aprire la testa. Per convincerlo, gli psichiatri e gli psicologi lo portano al laboratorio, a vedere il risultato dell’operazione su Algernon. Ciò che Charlie trova è sbalorditivo persino per lui: un topo che fa i conti e ne dà il risultato con un sistema di leve e lampadine, che esce in un attimo da un intricato labirinto alla fine del quale c’è il suo pasto. Prove inconfutabili dell’acquisita intelligenza di un animaletto con una mente meno sviluppata del più piccolo e acerbo dei bambini. Perché, dunque, Charlie non dovrebbe avere lo stesso risultato, o addirittura migliore? 

Charlie accetta. Gli viene fornito il diario che costituisce il romanzo, sgrammaticato e sintatticamente errato, con il compito di annotare tutto, anche il più insignificante dei pensieri e il più piccolo degli avvenimenti, prima e dopo l’operazione, per monitorarne gli effetti. A operazione conclusa, poco a poco, Charlie acquista più consapevolezza di tutto ciò che gli sta intorno: inizia a notare le cose, a rendersi conto che i suoi colleghi non gli sono amici, come pensava prima, e comincia a rispondere a tono, spaventandoli; la sua grafia non è più così scorretta, e la grammatica non più così terribile; la sua mente si espande, la sente crescere nel cranio e diventare più spaziosa. Inizia quindi a leggere e studiare, senza più difficoltà, ma con sano e sincero piacere. Ben presto la sua intelligenza supera quella dei colleghi e del capo, i quali – sentendosi inferiori – non vogliono più tenerlo alla panetteria. Viene quindi licenziato e invitato a trovarsi un appartamento suo. Con l’aiuto della dottoressa Alice Kinnian, psicologa che lo segue e con la quale intreccia una relazione, riesce a trovare un appartamento e ad ampliare sempre di più la sua rete di conoscenze e di letture. Inizia a studiare materie più complesse, come il diritto e l’economia, la finanza e la statistica, l’alta letteratura e la filosofia, la fisica, la scienza e la medicina. Nello spazio di pochi mesi la sua intelligenza diventa superiore a quella degli studiosi che hanno condotto l’esperimento, e la sua apertura mentale e la sua cultura gli valgono riconoscimenti pubblici di spicco: viene invitato a fare da relatore a conferenze su temi particolarmente ostici, a tenere lezioni risolutive di materie con punti talmente oscuri da non essere compresi nemmeno dagli scienziati, ed è qui che iniziano i problemi. La dottoressa Kinnian si rende conto che poteva reggere la loro relazione finché il piano intellettivo era impari a suo vantaggio, ma ora si sente inadeguata sia come compagna sia come studiosa; la loro relazione termina quindi nell’amarezza che domina un traguardo scientifico brillantemente raggiunto a scapito del risvolto psicologico personale. 

A una conferenza a cui era stato invitato a partecipare per parlare dell’esperimento del quale era stato protagonista, Charlie si accorge che Algernon, il piccolo topo, ha qualcosa che non va: si agita, trema, corre dentro la gabbia fino a sbattersi con forza contro le sue pareti, provocandosi ferite e traumi. Charlie decide quindi di aprire la gabbia liberando Algernon, che si nasconde nel taschino della sua giacca. 

Scappando con lui, Charlie lo porta a casa e continua a notare nel roditore questi attacchi di isteria violenta. Accettando di riportarlo al laboratorio per un controllo, scopre l’amara verità: Algernon, la cui intelligenza era cresciuta a dismisura, stava regredendo allo stadio iniziale e, rendendosene dolorosamente conto anche a livello fisico, cercava di togliersi la vita, riuscendoci qualche giorno dopo. Charlie sa che lo aspetta lo stesso destino: l’operazione non è ripetibile.  

Qui il collegamento tra i due esagrammi. La minorazione mentale di Charlie, che lo sminuiva e diminuiva rispetto agli altri, si è trasformata in forza domatrice grande con l’operazione, aprendogli le porte del mondo a lui ignoto che avrebbe sempre voluto esplorare. Quant’è affidabile, però, la trasformazione, quando la scienza non garantisce la stabilità del risultato e la minorazione o diminuzione è sempre in agguato? L’ardua sentenza alle ultime strazianti e perfette parole del romanzo: 

«[…] In onni modo scommeto desere il primo defficiente al mondo cha scopperto cualcosa dimportante per la sienza. Sono fatto cualcosa ma non riccordo che cosa. Cuindi supongo daverlo fato per tuti i defficienti come me a la Warren e in tuto il mondo.  

A rivvederla Miss Kinnian e dotor Strauss e tuti… 

PS per piaccere dikano al profesor Nemur di non esere così per malloso cuando la giente ride di lui e avrebe più amici. È faccile avere ammici se si lassia che la giente ride di noi. Dove vado avvrò tanti ammici. 

PS per piacere se posono metano cualke fiore su la tomba di Algernon nel kortile.»5 

 

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